Se volessimo descrivere l’idea alla base di una “relazione amorosa”, diremmo: “Sesso cum dialogo”, e cercheremmo, senza molte perifrasi, di evidenziare due aspetti tra i tanti che caratterizzano i legami interpersonali.

La parola “relazione” (r.), dal punto di vista etimologico, deriva dal latino relatio, relatus (participio passato di referre che significa “riportare, stabilire un legame, un rapporto, un collegamento”)[1]. Il termine possiede diverse accezioni e può indicare:

  1. Il rapporto scritto di un’attività o fatto;
  2. Il legame di amicizia o sentimentale tra due persone;
  3. In sociologia, le r. di tipo sociale indicano i processi di comunicazione e condivisione all’interno e tra gruppi sociali[2];

In generale, col termine “relazione”, si esprime un legame tra due o più persone che, per alcuni aspetti, rappresenta un vincolo reciproco e un aspetto fondamentale della vita (noi tutti abbiamo sempre a che fare con le persone)[3]. Rispetto al tipo di persona con cui entreremo in contatto, alla natura del rapporto e alla durata temporale, si costituirà un legame con caratteristiche precise. In ufficio, ad esempio, il rapporto con il capo sarà limitato allo scambio d’informazioni lavorative, quello con i colleghi sarà caratterizzato da collaborazione reciproca; in una relazione di coppia ci sarà naturalmente una dimensione d’intimità maggiore, di condivisione di pensieri, emozioni, accadimenti; a scuola la relazione col professore in sede d’esame sarà giudicante; in una consultazione psicologica essa si inscriverà in un contesto di ascolto e di cura[4].

La vita quotidiana è fortemente caratterizzata dal contatto con gli altri. Rousseau, benché critichi la naturalità dell’uomo come espressione di uno stato civile e sociale, e sostenitore di una spontaneità di semi-bestialità[5], scrive: “Non possiamo fare altro che sottometterci e riconoscere la peculiarità del bisogno”, perché gli eventi causali, la necessità di nutrirsi, il clima etc., in altre parole, le situazioni reali conducono l’uomo a cercare negli altri un sostegno, l’aiuto e un servizio. Sicché si diventa, impariamo a essere, creature socievoli e razionali, capaci di comunicare. Le storie degli uomini s’intrecciano e trovano nello stato civile una collettività: la vita sociale crea “l’essere intelligente e un uomo”.[6] Sempre secondo Rousseau, è il “bisogno” che crea la situazione entro cui l’uomo si svolge in una relazione e comunica: il dialogo (dia-logos, discorso/parola tra); la lingua è il mezzo con cui il pensiero si espande, un prodotto sociale ed esterno a ogni individuo[7].

Ma dove possiamo inserire il “sesso” a questo punto del nostro discorso? In psicologia il “sesso” è il mezzo di cui il singolo dispone per relazionarsi. Alle volte è definita come “relazione di attaccamento” ed è propria del genere umano: si manifesta fin dal rapporto madre-bambino, e condiziona lo sviluppo psicosessuale di un individuo[8]. Con l’accoppiamento sessuale si attiva il sistema biologico, cognitivo, emozionale e comportamentale, ed è quindi una tematica delicata. Tutta la vita emotiva ruota intorno alla sessualità, fin dalle prime esperienze che riescono a pregiudicare il nostro orientamento sessuale e agire sulla personalità.

Con l’idea di “sesso” viene in mente eros. Fin dagli antichi greci, infatti, la parola “amore” esprime il grado più alto di emotività e richiama un’essenza politropa, composta da: agape (amore di condivisione), phileîn (amore profondo, amicale), eros (amore come passione). La natura “a tre facce” spiegherebbe il perché dire “amo mio padre” oppure “amo mio figlio”, (diversamente da “amo il mio ragazzo/a”) non urta la nostra sensibilità uditiva e perché riusciamo a capire senza grandi sforzi che il fine comunicativo sia quello di esprimere un legame durevole, profondo. Eros è l’aspetto più virulento dell’amore: la forza, la possessione (per questo motivo “erotico” allude a qualcosa di visceralmente fisiologico). Non è errato, dunque, credere che sia l’elemento preponderante in una relazione intimo-sessuale con il proprio ragazzo/a, fidanzato/a o marito/moglie; a buon diritto, è da considerarsi la discriminante necessaria tra il tipo a) di relazione sentimentale con il proprio partner, e quello b) che ci lega a familiari e amici. Eros non sussiste separato, e col sexus – l’essere proprio dell’uomo e della donna in rapporto all’atto che distingue –, tramite il “dialogo” giungiamo ad agape e phileîn.

Le relazioni con un grado maggiore d’intimità (così terminiamo il nostro breve discorso)sono esperienze necessarie per giovani o adolescenti. Fino alle soglie della senilità ci aiutano a comprendere parti del noi che da soli, con le sole forze dell’auto-osservazione, non riusciremmo a cogliere[9]. La sessualità ha un forte impatto sulla nostra identità già dalle prime fasi della vita: nell’adolescenza, ad esempio, si cerca una conferma del proprio orientamento sessuale, maschi e femmine cercano rapporti sessuali che possano dare loro la certezza di appartenere ad un preciso genere e di avere precisi gusti sessuali. Crescendo, ci sarà un cambiamento di mentalità per il quale non è solo la quantità di rapporti sessuali a definire chi siamo, ma anche la qualità di un rapporto con una persona che vada oltre il sesso, quindi il conoscersi e l’instaurare un rapporto affettivo reciproco[10].

La sessualità umana, come possibile esempio di legame inter-personale incide molto sull’aspetto psicologico e relazionale di un individuo, eppure, la trascuriamo incuranti di conoscerne i meccanismi. Ci dimentichiamo dei tanti piccoli e grandi aspetti della vita insieme/con i nostri partners fino a quando il tutto giunge a sovrastarci: trascuriamo il “dialogo”, il “sesso”, oppure entrambi. Senza sapere come trovare l’equilibrio, optiamo per 1) il “sesso riparatore”, senza “dialogo”, oppure 2) “dialogo” senza “passione”. Crediamo sia possibile fondare la nostra relazione sull’eros, vogliosi di “possedere” e non di condividere, oppure sul rifugio nel logos e lasciamo che tutto divenga asettica razionalità senza emozione. Questi cortocircuiti comuni trovano una via d’uscita ricordando che i problemi dell’IO sono questioni del NOI. Abbiamo bisogno dell’altro, allo stesso modo in cui l’altro ha bisogno di me e di te.


[1] Dizionario etimologico, https://www.etimo.it/

[2] https://www.treccani.it/vocabolario/relazione/

[3] S. A. Mitchell, F. Gazzillo, Il modello relazione. Dall’attaccamento all’intersoggettività, Raffaello Editore, Milano, 2002

[4] Mortari Chiara, Fare e pensare le relazioni. Prospettive educative con i Laboratori di counseling, Franco Angeli Milano, 2018

[5] J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, a cura di G. Preti, Feltrinelli, Milano, 2013

[6] J. Rousseau, Il Contratto sociale, a cura di J. Bertolazzi, Feltrinelli, Milano, 2014

[7] F. Remotti, Noi, Primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2009

[8] S. A. Mitchell, F. Gazzillo, Il modello relazione. Dall’attaccamento all’intersoggettività, Raffaello Editore, Milano, 2002

[9] I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, a cura di M. Bertani, G. Garelli, Torino, 2010

[10] S. A. Mitchell, F. Gazzillo, Il modello relazione. Dall’attaccamento all’intersoggettività, Raffaello Editore, Milano, 2002

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