La risposta di Corinne Zaugg alle osservazioni di Sandor Marazza e mie sul caso del giovane Andrea, del suo suicidio e dell’omofobia fanno riflettere ancor più sulla necessità di allontanare qualunque tipi di giudizio superficiale.
La storia di Andrea non credo sia stata raccontata per motivi ideologici, giornali di ogni parte politica hanno riportato il fatto seppur con diverse interpretazioni. Credo sia comunque importante parlarne, non tanto per la sua storia singola ma per i rilievi sociali. I giornali esistono anche per questo, informare su un fenomeno e fare riflettere.
Che Andrea fosse deriso ed escluso a causa dell’omosessualità è quanto lui stesso ha lasciato scritto e detto. Per questo quello che a me interessa non è incasellare nessuna persona o tentare di definire qualcun altro. Andrea non ha dichiarato di soffrire perché era italiano, giovane o altre caratteristiche di sé. Ha parlato invece della sofferenza procurata da altri a causa dell’omosessualità. Per questo credo che tutta la società abbia il dovere di riflettere sui pregiudizi che possono portare stigma e sofferenza alle singole persone, specie se giovani. Come Andrea in molti altri vengono esclusi o discriminati a causa dell’omosessualità, vera o presunta, e questo è il tema.
L’identità sessuale e affettiva e la dimensione della relazione sono parti integranti dell’identità umana, certamente complessa e difficilmente riducibile ad una o più parti. Ma questo non muta per nulla il fatto che l’omosessualità come l’eterosessualità siano parti fondamentali dell’identità di una persona. E’ sufficiente chiedersi quale posto abbia la relazione con l’altro nella vita di ciascuno, e poi domandarsi che peso e valore possano avere per un adolescente. Chi amiamo o ameremmo fa certamente parte integrante del nostro io. Non credo poi sia utile pensare che qualunque forma di affettività sia un fatto privato, è evidente esattamente il contrario. Scambiarsi gesti affettuosi, camminare mano nella mano, prendersi cura l’uno dell’altro a tutti i livelli istituzionalizzati e non, costruire una famiglia sono alcuni aspetti evidentemente pubblici della relazione d’amore, anche omosessuale. Lo stigma legato all’omosessualità riguarda poi stereotipi di genere ovvero come deve essere un maschio e una femmina nella nostra società. Immaginano i lettori e l’autrice quanti giovani adolescenti sono oggetto di bullismo e vessazioni non tanto perché siano omosessuali ma piuttosto perché lo sembrano? Lo sembrano perché, per esempio, sono meno virili secondo uno stereotipo determinato socialmente.
Ebbene sono d’accordo con lei nella necessità di prevenire qualunque forma di esclusione e disprezzo dell’altro diverso da sé. Sono anche consapevole che questo non è solo un percorso intellettuale, culturale e razionale ma coinvolge strettamente la sfera emotiva. Per farlo è controproducente generalizzare e appiattire i temi, ma è invece indispensabile capire cosa significhi essere omosessuale, essere di un altro paese, di un’altra religione, essere donna, essere disabile. Senza conoscere queste differenze non si decostruiscono i pregiudizi ma ci si dà la sola illusione, tipica degli adulti, di non averne. Se incontro le persone che lei cita nella risposta (cattolico, omosessuale, asilante o la donna) io vedo anche quelle caratteristiche di quelle persone e credo siano ricchezze, non fatti da ignorare. Perché non vedere e apprezzare una loro differenza? Ogni persona è infatti diversa e quella diversità è la sua ricchezza.
Marco Coppola
Zonaprotetta